Sin dal primo episodio uno strano silenzio ha circondato Andor. Gli articoli, i post, i meme non sono mancati, certo, ma non c’è stato quel clamore, nel bene e nel male, con il quale sono state accolte le altre serie della saga negli ultimi anni. Niente discussioni infinite, polemiche feroci, insulti al vetriolo come per Obi-Wan Kenobi, per fare l’esempio più recente. Insomma, niente thread, shit storm, flame che seminano discordia nel fandom (talvolta tirando fuori il peggio dalle persone). Ovviamente Cassian Andor non è Obi-Wan Kenobi: il primo è quasi l’equivalente starwarsiano di un Pinco Pallino qualunque a confronto con il secondo, che è invece un mostro sacro, uno dei personaggi più importanti della saga sin dalla prima ora. Dunque è normale che le aspettative e, conseguentemente, anche le reazioni del pubblico non possano essere le medesime. In altre parole, se Andor non piace, pazienza, in fondo non è stata rovinata l’infanzia di nessuno. Obi-Wan Kenobi, poi, ha ricevuto più critiche che elogi, forse portando una parte del pubblico ad allontanarsi dalle nuove produzioni. Sembra, infatti, che l’audience di Andor sia, per lo meno sin qui, la più bassa di tutte le serie di Star Wars prodotte dalla Disney, incluso il vituperato (a ragione) The Book of Boba Fett. A tutto ciò si aggiunga che in queste settimane c’è molta concorrenza nel mondo delle serie: basti citare The Rings of Power e House of the Dragon, grandi produzioni che attirano molto pubblico (che piacciano o meno).
Eppure, a dispetto di tutto ciò, Andor è una grande serie! Recensendo i primi tre episodi abbiamo scritto che forse il 2022 sarà ricordato come l’anno di Andor: ora, a metà stagione, siamo pronti a scommetterci. Il sesto episodio, il più recente, è un piccolo capolavoro (forse il miglior singolo episodio delle serie live-action di Star Wars), ma è solo il climax di un modo di raccontare estraneo a Star Wars. Gli apocalittici starwarsiani (per dirla con Umberto Eco, che ci perdonerà questo prestito improprio dalla sua terminologia) si lamentano che “non succede nulla”. Inutile dire che non è così. O meglio, se la propria idea di Star Wars si limita a spade laser, Tie Fighter e cacciatori di taglie, allora sì, non succede nulla o quasi, ma chi appartiene alla schiera degli integrati (sempre con Eco) non può non amare Andor e il suo modo di raccontare la galassia lontana lontana…
«Solo i Sith ragionano per assoluti» direte voi, ma concedeteci un po’ di Lato Oscuro per il tempo di questo articolo.
Dicevamo che Andor ha un modo tutto suo di raccontare Star Wars. Continuano a colpire il realismo della messinscena, la lentezza della narrazione, la serietà della storia, l’essenzialità dell’azione. Non c’è umorismo né spettacolarità, né tragedia né avventura. È un universo narrativo di cui non si desidera far parte, ma non per questo è meno intrigante. È questo il segreto della rivoluzione di Andor: questa è una serie politica, non è tempo di giocare ai Jedi, e se vuoi calarti in quel mondo, immedesimarti nei suoi protagonisti, devi essere disposto a morire per un ideale che non è ancora nato, per una ribellione che si scrive ancora con la minuscola.
Alla fine arrivano pure i Tie Fighter, per fortuna, perché in fondo, e fino a prova contraria, siamo ancora nella galassia lontana lontana. Ma Andor è molto più di questo. È molto più che sollevare rocce con il pensiero. Ora dimentichiamo gli apocalittici e gli integrati di echiana memoria. A nostro avviso Andor è un’ottima serie e ci dispiace, e ci sorprende, che non sia apprezzata unanimemente. Star Wars, d’altra parte, ha quasi cinquant’anni e ogni nuovo capitolo della saga (in senso lato) ha un suo stile, e ogni fan ha i suoi gusti. Forse Andor sarà rivalutata con il tempo? Noi ce lo auguriamo.