Obi-Wan: la posta in gioco

Lucasfilm decide se andare all-in o restare nel comfort del bacta-tank

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Domani esce l’attesissima serie TV dedicata a Obi-Wan Kenobi. Domani Lucasfilm inizia una partita lunga cinque settimane (e sei episodi) e corre il suo rischio più grande dalla nascita, nel 2019, delle serie live-action di Star Wars: rischia di fare di Obi-Wan un cadavere, più macchina (industriale) che uomo, e conseguentemente dichiarare l’ora del decesso dell’intero universo originale di Star Wars, condannando tutto quell’universo a un’eterna esistenza zombificata.

Obi-Wan è Star Wars. Obi-Wan è Star Wars nella sua incarnazione originale: basta guardare alla funzione del suo personaggio nelle pochissime ma insostituibili scene in cui appare in Episodio IV. In primo luogo, nella solitudine della sua abitazione nel deserto Ben Kenobi rivela la sua vera identità di Obi-Wan e il mondo di Luke esplode, si fa immensamente più grande, per Luke diventa impossibile rimandare l’inizio del suo viaggio. Luke, ormai quasi adulto, comprende finalmente che egli è sempre appartenuto a quell’immenso universo che tanto lo attrae (del resto suo padre, il misterioso e sconosciuto Anakin, e Obi-Wan ne sono già parte integrante) e comincia a interrogarsi sulla vera natura della realtà: la Forza, i Jedi, il significato della morte di suo padre, e il suo ruolo in tutto questo. In seguito, a Mos Eisley, Obi-Wan rimuove tutti gli ostacoli materiali che trattengono Luke su Tatooine e, come mentore, guida e alleato, lo accompagna nel primo passo verso scoperte ancor più profonde e verso quello che sarà, come sappiamo, l’incontro con il suo destino. Infine, sulla Death Star, Obi-Wan sceglie, enigmaticamente, di morire. Luke non capisce perché. Nemmeno io, da bambino, capivo esattamente il perché di quel momento raccolto nel mezzo del duello, di quel sorriso a occhi chiusi e di quella strana e immateriale morte. In quel momento, con quella rinuncia, Obi-Wan stava in realtà ponendo la pietra angolare morale di Star Wars: come un autentico maestro, Obi-Wan mostra al suo allievo che cosa sia il bene attraverso il proprio comportamento - in questo caso, attraverso la più definitiva delle scelte e il più estremo dei sacrifici. La forza morale di questo momento guiderà Luke nel suo viaggio in Episodio IV e nel resto della trilogia, offrendosi come paradigma di riferimento, stella polare, che lo aiuterà ad attraversare dubbi e difficoltà e, alla fine de Il ritorno dello Jedi, gli fornirà il modello di comportamento che gli permetterà di vincere la sua battaglia interiore e liberare suo padre, compiendo il suo destino.

Il sacrificio di Obi-Wan è, forse per tutti noi fan di Star Wars, più o meno consapevolmente, anche la definizione più chiara di che cosa sia uno Jedi. Sicuramente lo è per me, e credo di non essere il solo a poter dire che, per quanto sia tutto sommato strambo, la mia identità morale, crescendo, è stata profondamente influenzata da questo momento. Obi-Wan è Star Wars.

Obi-Wan è Star Wars nella rifondazione di Star Wars che George Lucas ha voluto attuare con i prequel: non vi sono dubbi che Obi-Wan sia, più di ogni altro personaggio, il cuore pulsante degli episodi I, II e III. Obi-Wan ci immette nella vicenda della trilogia prequel come nostro unico vero riferimento emotivo. Egli è la nostra àncora nello svolgersi nella vicenda sia in quanto portatore della nostra morale (che in realtà ha fondato per noi nella trilogia originale) sia in quanto figura posta ingannevolmente sullo sfondo degli eventi quando, in realtà, ne è l’assoluto protagonista insieme ai suoi conflitti, che sono gli stessi vissuti da noi spettatori.

Obi-Wan è il Sam Gamgee della trilogia prequel: questa storia non è, all’apparenza, la sua storia. Obi-Wan non è il protagonista di alcuna profezia, non è un superuomo (forse dovrei dire super-Jedi), non è il re di alcun pianeta, non siede nel Consiglio dei Jedi, non è un politico del Senato, non è al centro delle preoccupazioni di nessuno. Obi-Wan non è importante.

Obi-Wan è un semplice uomo del sistema: è un generale fedele, è un Cavaliere Jedi leale, la sua identità morale è allineata completamente con le regole del suo mondo, regole che Obi-Wan abbraccia e difende con convinzione, la sua vita interiore è fatta di costanti rinunce, trascendenza e superamento delle sue umanissime emozioni. Celibe, monaco, in qualche misura mistico e asceta. Obi-Wan è più Jedi dei suoi superiori del Consiglio. Obi-Wan inizia a sviluppare una consapevolezza critica della realtà che lo circonda grazie al suo maestro Qui-Gon, un outsider dell’ordine Jedi, al limite dell’eversione. Tuttavia Qui-Gon muore, e Obi-Wan in un certo senso adotta immediatamente una posizione più conformista all’interno dell’ordine dei Jedi. Decide di fare quello che ogni bravo padawan farebbe: proteggere la memoria e l’onore del suo maestro, sacrificandosi e prendendosi la responsabilità di crescere e addestrare il problematico Anakin, allo stesso tempo adeguandosi alle incalzanti richieste di un Consiglio Jedi esigente e arrogante - e compiaciuto di sé e ottusamente miope. Con immenso senso del dovere e fedele ai suoi princìpi morali e religiosi, Obi-Wan lotta contro crescenti difficoltà e, da un certo momento in poi, lotta contro un intero universo sociale, politico e morale le cui certezze si sono improvvisamente e irreparabilmente disintegrate, e contro un mondo interiore che non fa altro che riflettere, tragicamente, il caos e il dolore che stanno invadendo la galassia. La sua vicenda personale riflette e amplifica la nostra vicenda personale e i nostri quotidiani dilemmi morali. Al culmine di un universo al collasso, Obi-Wan ha il suo confronto finale con Anakin. Obi-Wan deve salvare il mondo da Anakin e Anakin da se stesso. Non ci sono alternative: Anakin, migliore amico e fratello, padawan e figlio, deve morire. Dietro Obi-Wan vi è un sistema di valori ineludibile, una necessità morale impossibile da rifiutare; un “high ground” metaforico e brutale, lacerante, disumano - perché, in ultima analisi, ambiguo: fermare Anakin è veramente la cosa giusta da fare? Il mondo è nel caos, i Jedi hanno sbagliato tutto, chi ha ragione, che cosa fare dell’amore per questo disperato fratello, distrutto da quelli che l’hanno manipolato tanto quanto da coloro che avrebbero invece dovuto guidarlo e proteggerlo, corrotto, pazzo e pericolosissimo? Non c’è più tempo, bisogna decidere. Obi-Wan si aggrappa all’unica certezza possibile: che al di là di tutto la via degli Jedi sia quella corretta e che fermare Anakin ne sia l’interpretazione corretta, al di là di ogni profezia sul Prescelto per riportare l’Equilibrio nella Forza. Al di là dell’attaccamento verso questo fratello che ora, nel momento cruciale, si manifesta fortissimo spazzando via qualunque addestramento al controllo delle emozioni. Obi-Wan deve soffrire per salvare il mondo, salvarlo materialmente e moralmente. Se questa è una tragedia (lo è), Obi-Wan ne è l’eroe, garantendo continuità a quei valori che, alla fine de Il ritorno dello Jedi, finalmente trionferanno. Obi-Wan è Star Wars.

E adesso Obi-Wan è anche una serie TV, che racconterà… che cosa, esattamente? Qual è la posta in gioco per Obi-Wan, stavolta? Una cosa è chiara: almeno per chi scrive, un altro The Book of Boba Fett è inaccettabile. Boba Fett non è Star Wars nello stesso senso in cui Obi-Wan è Star Wars. Passati i dispiaceri iniziali, una serie goffa e poco ispirata come The Book of Boba Fett può essere infine metabolizzata e lasciata da parte come contenuto ancillare qual è. Poteva elevare il personaggio marginale a cui è dedicata e non vi è riuscita. Pazienza. Nelle sue parti più riuscite, ci ha almeno aiutati a placare l’urgenza di restare per ancora qualche attimo dentro al mondo di Star Wars. La serie su Obi-Wan, tuttavia, non può permettersi di darci niente di secondario o marginale. O vogliamo illuderci che rivedere le facce familiari di zio Owen e zia Beru, Luke bambino, la feccia di Mos Eisley, magari un giovane Jabba o qualunque altra espressione di navel-gazing saranno sufficienti a farci amare e rispettare questa serie? Vogliamo davvero credere che, come per The Book of Boba Fett, un arco narrativo banale e appena abbozzato, pensato male ed eseguito peggio, sarà abbastanza, purché ci sia concessa qualche ora in più con Ben Kenobi, Luke e un neonato Darth Vader?

Si attende trepidanti un possibile terzo duello tra Obi-Wan e Darth Vader, interpretato stavolta addirittura dallo stesso Hayden Christensen. Il fan dentro di noi si esalta. Ma l’innamorato di Star Wars invece che cosa ne pensa? Chiediamocelo adesso, finché siamo in tempo: qual è la posta in gioco, stavolta? Può davvero esserci un duello che aggiunga qualcosa a Star Wars a questo punto? E che cosa potrebbe aggiungere, compresso come sarebbe tra la tragedia di Revenge of the Sith e l’epico gesto finale, grande riscatto di Obi-Wan Kenobi, in A New Hope?

L’alternativa a una grande e ispirata invenzione narrativa, purtroppo, la conosciamo. E temiamo: uno Star Wars senza cuore, spiritualmente morto e senza possibilità di riscatto. Il bacta tank ci ha significativamente rivelato Boba Fett per lo zombi che è: cadavere in movimento che parla come Star Wars e sembra Star Wars, destinato a resuscitare eternamente per non dire nulla di importante.

Per Lucasfilm, la posta in gioco è altissima: Obi-Wan è un baluardo, se crollasse dovremo prepararci a quarant’anni di storie precotte, dal sapore vagamente familiare, capaci solo di riconfermarci che siamo chi pensiamo di essere, invece di provocarci, ispirarci, meravigliarci. Del tipo che riscalderesti in un bacta tank. Del tipo che George Lucas non vorrebbe mai raccontarci.

#SWTNV

L'autore

Emanuele Pane

Già a nove anni girava con il padre per i giocattolai di Roma alla ricerca delle action figure della Kenner, ormai fuori produzione, in una corsa contro il tempo. Oggi vive ad Amsterdam, dove continua a guardare, leggere e collezionare cose di Star Wars. E a pensarci un po’ troppo.