Qualche giorno fa mi sono imbattuto nel seguente post: «L’unico Star Wars che riconosco è la versione originale del film originale. Fanculo la riedizione del 1981 con l’aggiunta “Episodio IV: Una nuova speranza” al crawl iniziale. Il film s’intitola Star Wars e basta. Tutto quello che è venuto dopo non è canone».
Il post era palesemente ironico, come poi confermato dal suo stesso autore, ma molti ci sono cascati, diciamo così: non sono mancati commenti sdegnati, sarcastici, denigratori, e c’era persino qualche “ok boomer”. I più, tuttavia, hanno colto l’ironia e hanno continuato a fare battute su quella falsariga.
Reazioni a parte, il post mi ha fatto riflettere su una delle questioni più scottanti dell’universo di Star Wars: George Lucas ha rovinato la sua stessa creazione? La domanda si pone su due livelli. Il primo è quello dei cambiamenti apportati alla trilogia originale, il secondo, quello forse più importante, riguarda invece la tanto vituperata (ma forse non così tanto…) trilogia prequel. Proviamo a rispondere.
In origine era la trilogia originale (ma all’epoca non era necessario un aggettivo per definirla). Il processo creativo di quei tre film fu tutt’altro che lineare. Contrariamente a quanto si possa pensare, la storia non fu scritta tutta insieme, nemmeno a grandi linee. In origine Darth Vader non era il padre di Luke. Il celebre colpo di scena (forse il colpo di scena per antonomasia) fu concepito durante la scrittura dell’Impero colpisce ancora. Similmente, l’idea che Leia fosse la sorella gemella di Luke (e dunque figlia di Darth Vader) fu concepita durante la scrittura del Ritorno dello Jedi come soluzione dell’enigma dell’altra speranza cui Yoda accenna nel film precedente. Tutto ciò solo per dire che Star Wars non è mai stato un progetto organico e programmato, ma è nato quasi per miracolo (concepito dai Midichlorian stessi?) e poi ha preso forma in divenire.
Fin qui tutto bene? Tutto benissimo: la trilogia è conclusa, i fan sono un tutt’uno con la Forza, il mito di Star Wars sembra indistruttibile. È con l’avvento del cinema digitale, favorito dallo stesso Lucas, che iniziano i guai, per noi e per lo stesso Lucas. Infatti, per dare alla nuova generazione di fan la possibilità di vedere Star Wars al cinema, nel 1997, vent’anni dopo il primo film, Lucas produsse l’edizione speciale. Finalmente anche i più giovani, dopo aver visto la trilogia nell’unico modo che il destino gli aveva concesso, ovvero in VHS, potevano ammirare la saga in tutta la sua magnificenza, in una versione persino migliore dell’originale, cioè con una qualità audio e video che Lucas aveva solo sognato tra gli anni settanta e ottanta. Fu un trionfo… se non fosse che Lucas si fece prendere la mano. La smania di realizzare la sua visione e sperimentare il suo nuovo giocattolo, cioè il cinema digitale che la ILM stava sviluppando in prima linea, lo spinse a rimaneggiare i film facendo aggiunte o modifiche, sia recuperando scarti di montaggio sia creando digitalmente nuovi effetti (a volte combinando le due cose). Gran parte di questi cambiamenti aggiunse poco o nulla, comunque non abbastanza da compensarne la bruttezza o perlomeno attenuare il fastidio provato dal fan che conosceva i film fotogramma per fotogramma. Vederli al cinema per la prima volta fu comunque un evento epocale. Fu un rito iniziatico per tutti i fan che tra il ‘77 e l’83 erano troppo piccoli o addirittura non erano ancora nati. Ma al tempo stesso era netta la sensazione che la propria infanzia fosse stata violata, che la memoria di un tempo mitico fosse stata alterata, se non cancellata. Il cambiamento più odiato, ancor oggi, è nella scena dell’uccisione di Greedo. Non era semplicemente brutto o inutile, come gran parte delle altre manipolazioni digitali. Far sparare Greedo per primo rendeva Han Solo un personaggio diverso. Meno canaglia, meno cinico. La sua evoluzione da contrabbandiere senza scrupoli a leader ribelle divenne meno interessante. Aggiungere Jabba the Hutt era brutto e inutile, ma alterare uno dei personaggi più amati in assoluto era sbagliato. Un crimine. Un delitto. «Han shot first», cioè ha sparato per primo. I fan di Star Wars sono sempre divisi su qualcosa, ma su questo non ho mai sentito una voce dissidente.
Al netto di tutto ciò, l’edizione speciale fu un successo. Puntò nuovamente i riflettori su Star Wars e spianò la strada ai sequel (il primo era già in lavorazione da qualche anno). Lucas non lo sapeva, ma si era appena gettato nel pozzo di Carkoon. Spoiler: ne sarebbe uscito vivo, proprio come Boba Fett (ahinoi), ma non esattamente indenne. L’odio che si scatenò nei suoi confronti dopo l’uscita de La minaccia fantasma fu biblico. Fu come se milioni di voci gridassero tutte insieme e poi si fossero zittite. Fu un successo al botteghino (alla fine incassò un miliardo di dollari in tutto il mondo), ma buona parte della critica lo accolse sfavorevolmente e, ancor più grave, le aspettative di moltissimi fan furono deluse… oltre ogni aspettativa. Jar Jar Binks, i Midichlorian, la profezia del prescelto e l’orribile pupazzo di Yoda, sopra ogni cosa, fecero passare al Lato Oscuro tanti di noi (incluso il sottoscritto).
Nonostante tutto, Lucas andò per la sua strada e concluse la sua seconda trilogia con L’attacco dei cloni (2002) e La vendetta dei Sith (2005). Quest’ultimo fu accolto come il migliore dei tre, tanto dal pubblico quanto dalla critica, ma fu appena sufficiente a salvare il salvabile. Lo spettro di Jar Jar Binks, l’ombra dei Midichlorian, l’inattitudine alla recitazione di Hayden Christensen, l’uso eccessivo degli effetti digitali, i dialoghi piatti e a tratti ridicoli, la recitazione inespressiva, la trama arzigogolata, i personaggi abbozzati… era ancora tutto maledettamente lì, ben visibile sullo sfondo dei duelli con le spade laser.
La trilogia originale era stata profanata e la trilogia prequel era un disastro. Cosa restava ai fan? Solo la sensazione che George Lucas avesse rovinato la sua stessa creazione e con essa l’infanzia di tutti noi. Il mito di Star Wars era tramontato. Il demiurgo del cinema era morto.
Ma è davvero andata così? Sì, da un certo punto di vista (Obi-Wan docet). Non si può negare che l’edizione speciale non fosse perfetta, ma vedere Star Wars al cinema non ha prezzo. D’accordo, Greedo non ha mai sparato, Jabba era brutto e la musica finale del Ritorno dello Jedi era diversa, ma quando ero bambino potevo solo sognare il buio della sala, la fanfara della Twentieth Century Fox, le parole «tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…». È stata l’esperienza cinematografica più importante della mia vita, non solo per i film in sé, ma anche per il pubblico: non c’erano spettatori occasionali, ma solo e soltanto fan cresciuti a pane e Guerre Stellari (all’epoca in pochi lo chiamavano Star Wars in Italia). Lucas voleva che ammirassimo la trilogia in tutto il suo splendore, e così fu. Le generazioni successive non sono state così fortunate (con l’eccezione delle riuscite in occasione del quarantesimo anniversario di ciascun episodio, rispettivamente nel 2017, 2020 e 2023, ma purtroppo non Italia).
Però la trilogia prequel…? Sì, da un certo punto di vista (Obi-Wan semper docet) è brutta. Non se ne esce. È scritta male ed è recitata peggio, è infarcita di politica insulsa, scene d’azione lunghe e inutili, una comicità infantile, e soprattutto ha una trama a tratti scadente. Il tempo, tuttavia, ha fatto guadagnare a quei film molti più estimatori di quanti ne avessero inizialmente. I meme che ironizzano su questo abbondano (al punto che si sostiene che tra dieci o vent’anni anche la trilogia sequel guadagnerà un nuovo status). È innegabile che siano film pieni di difetti (quelli citati poc’anzi), ma senza di essi Star Wars, con ogni probabilità, sarebbe morto. Lucas, invece, lo ha tenuto in vita, per di più rimanendo fedele alla propria visione. Si può dibattere sulle sue capacità come sceneggiatore, regista, produttore (quest’ultimo è senza dubbio il ruolo che gli si addice di più), ma un merito non gli si può proprio togliere: i prequel sono suoi, sono la realizzazione della sua idea di Star Wars. Soprattutto, sono film originali e indipendenti, cioè non sono rifacimenti della trilogia originale e Lucas li ha prodotti con soldi propri (parliamo di centinaia di milioni di dollari, il che li rende i film indipendenti più costosi di sempre).
Erano i film di cui avevamo bisogno ma non quelli che meritavamo? Può darsi. Quello che è certo è che sono pieni di idee che hanno plasmato buona parte della saga. La prima trilogia racconta, con toni ora avventurosi ora tragici, la lotta tra il Bene e il Male. C’è un impero malvagio e c’è una ribellione buona che lo combatte, ma essenzialmente la storia parla di forze mistiche incarnate in personaggi buoni (i Jedi) e cattivi (i Sith). La trilogia prequel ha espanso questa idea aggiungendo una fitta trama politica che ha reso la saga molto più realistica e interessante di quanto non fosse in precedenza. Raccontando la caduta di una repubblica corrotta e burocratizzata, quei film parlano al presente, ponendo quesiti di ordine superiore. Pensiamo a tutto il dibattito sulle responsabilità dei Jedi nell’ascesa di Palpatine. O alla contraddizione tra il loro coinvolgimento nelle Guerre dei Cloni e il loro essere «guardiani di pace e giustizia» anziché guerrieri. O ancora a Darth Tyranus, meglio noto come Conte Dooku, tra i personaggi più interessanti della saga, un idealista deluso e traviato, sincero oppositore della repubblica, rea, a suo dire, di non fare più il bene del popolo. Naturalmente c’è anche la tragedia di Anakin, ma è un tassello in un grande e complesso mosaico che, guardando oltre le spade laser e le astronavi, pone questioni filosofiche, politiche, morali.
I prequel lasciano molto a desiderare, per usare un eufemismo (e comunque La vendetta dei Sith è un gran bel film), ma hanno l’ambizione di raccontare una storia ancor più grande e profonda della trilogia originale. Nel complesso, non saranno altrettanto riusciti, tuttavia sono, che piacciano o meno, il cuore della saga. Secondo molti sono film brutti realizzati da un regista maldestro e uno scrittore mediocre che senza il supporto dell’ex moglie Marcia e dei vari Lawrence Kasdan e Irvin Kershner si è rivelato per quello che è. Al tempo stesso, sono film realizzati da un grande produttore, un visionario che coraggiosamente (ovvero nonostante il putiferio scatenato dall’Episodio I) è rimasto fedele a sé stesso raccontando esattamente la storia che desiderava raccontare per dare maggiori profondità e ricchezza di senso alla sua stessa creazione. In tal senso, sono dunque i film più lucasiani della saga, se vogliamo, nel male, ma soprattutto nel bene. A patto che non ci si lasci distrarre da Jar Jar Binks e le altre brutture, sono film pregni di una visione precisissima e affascinante, e senza la quale la saga sarebbe molto diversa.
Il post da cui sono partito estremizza l’idea che esista un unico modo di intendere Star Wars. In realtà non è mai stato così, nemmeno per lo stesso Lucas. L’Impero era già molto diverso dal primo film e il Ritorno era una via di mezzo tra i primi due capitoli, e non poteva non essere così, non solo perché la storia fu concepita un film dopo l’altro, ma anche perché Lucas coinvolse altri scrittori e registi, tenendo per sé solo il ruolo di produttore, almeno ufficialmente. Se dunque la prima trilogia ha preso forma progressivamente, al contrario la trilogia prequel, scritta e diretta quasi interamente da Lucas, è nata da subito come un insieme più coerente. Per questo motivo i primi tre episodi hanno un’unica, chiara identità. Al tempo stesso, va notato come la storia dovesse necessariamente seguire dei binari già tracciati dalla trilogia originale, il che rese la realizzazione della trilogia prequel assai più difficile, anche perché l’ambizione di Lucas era creare un affresco galattico in poco meno di sette ore.
Non esiste un unico modo di intendere Star Wars neanche per i fan. Anche volendo considerare solamente la cosiddetta Saga degli Skywalker, è difficile mettere tutti d’accordo. Ogni generazione ha la sua trilogia, tanto per cominciare. Se poi si considera l’intero canone (spin off, serie TV, videogiochi, romanzi, fumetti) e, volendo allargare ulteriormente il campo, si aggiungono anche le storie Legends, allora si ha un enorme mosaico di storie, e lì ce n’è davvero per tutti i gusti. Ognuno ama la versione di Star Wars che preferisce. Un famoso meme ha descritto la saga come un ristorante: ognuno ordina quello che gli piace.
Per concludere, vorrei citare un altro famoso meme: invece del celeberrimo «Io sono tuo padre», Darth Vader dice a Luke che non è stata la Disney a rovinare Star Wars, ma i fan, prendendosela con George Lucas per i prequel, bullizzando gli attori sui social, insultando i fan e incolpando chiunque fuorché sé stessi perché guardando i prequel non si emozionavano più come quando erano bambini. È una sintesi estrema tipica dei meme, ma c’è un fondo di verità. Certamente il cosiddetto fandom tossico esiste (la minoranza, per fortuna), ma il punto è un altro: forse solo i fan possono rovinare Star Wars. Esiste una variazione di quel meme, una risposta, se vogliamo: Darth Vader afferma, con argomentazioni altrettanto buone, che è la Disney ad aver rovinato Star Wars, ma quella è un’altra storia. In ogni caso, George Lucas non ha rovinato nulla.