A chi, come noi, aveva seguito le vicende di The Mandalorian 1 e 2 con crescenti entusiasmo e coinvolgimento, la situazione alla fine della seconda stagione era chiara: una profonda, eroica umanità aveva dato a Din Djarin la forza di prevalere su spietati, perversi nemici esterni (Moff Gideon e i suoi diabolici Dark Trooper), ma soprattutto di sconfiggere i propri demoni interiori, salvando ripetutamente il piccolo Grogu. La vittoria di Din Djarin è infatti sopra ogni altra cosa il riscatto di un uomo sfortunato, un trovatello che ha trovato conforto e certezze unicamente nel rigido codice d’onore e disciplina della setta che lo ha allevato. Din Djarin si aggrappa ostinatamente al Credo dei mandaloriani perché in fondo è tutto ciò che ha, pur sapendo di non essere originariamente mandaloriano, che lo stesso pianeta Mandalore, le cui glorie ormai appartengono al passato, è andato perduto, mentre noi spettatori ci rendiamo sempre di più conto che la setta che lo ha cresciuto non è altro che un’espressione reazionaria, estremista e marginale di una cultura mandaloriana ben più complessa, ricca e laica, una setta che forse sogna un Mandalore che non è mai esistito.
Din Djarin è un mandaloriano, eppure fa il cacciatore di taglie e vive lontano dai mandaloriani. Ci viene presentato fin da subito come un outsider, un solitario che non trova davvero posto presso nessun gruppo. La sua diversità è evidente. Essa è il motore della sua storia e la ragione del suo eroismo: cinico cacciatore di taglie che tuttavia non resiste alle richieste di aiuto dei bisognosi, piega le regole a fin di bene quando occorre, e in più di un’occasione la sua umanità trapela attraverso un suo sguardo ironico o una battuta. Il suo incontro con Grogu lo costringe al confronto con la sua complessa, irrisolta identità: l’immediato istinto di proteggere il Bambino, l’affetto che sviluppa verso di lui nel corso degli episodi non è giustificabile unicamente attraverso il Credo e, lo vediamo da subito, è proprio questo affetto a generare in lui dubbio, disagio, confusione. Din Djarin ce la mette tutta a trovare una risposta coerente con la Via: proteggere il trovatello non è una questione di sentimenti, ma è il suo dovere; sempre secondo il Credo, poiché ha deciso di separarsene è suo il compito di trovare la sua gente e affidarglielo.
Ma perché dovrebbe separarsi da Grogu? In fondo l’accogliere i trovatelli nei propri ranghi è una parte centrale dei costumi della sua setta (come vedremo benissimo in seguito, nella stagione tre). È necessario separarsi da Grogu perché Grogu lo costringe al confronto con la propria identità in crisi: come lui, è un trovatello, solo al mondo; come lui, è diverso e la sua diversità (i suoi poteri) è anzi così spiazzante da rompere ogni schema. Din Djarin, dunque, vede se stesso in Grogu: un outsider totale. L’affetto per Grogu, il sodalizio tra i due diventa quindi la possibilità di superare la propria conflittuale identità e formarne una completamente nuova, fondata a partire da questa inattesa vicinanza. Non più solo un trovatello, non più soltanto un mandaloriano: è la possibilità di un nuovo inizio, di un nuovo sé, di una nuova famiglia. Ma come in ogni profondo cambiamento, abbandonare il proprio mondo di certezze sembra spaventoso e impossibile: e se poi le cose vanno male? E se si perde quello che si è trovato? Troppo rischioso.
Ma noi spettatori lo sappiamo: ogni volta che, grazie a Grogu e insieme a Grogu, Mando ha superato i propri limiti e ha accolto questo nuovo se stesso, egli ha saputo essere un vero eroe e ha trionfato.
Quando, nel magnifico finale della seconda stagione, Luke chiama a sé Grogu e dice a Din Djarin: “Vuole che tu gli dia il permesso”, sentiamo che l’esitazione è tutta di Din. Prende in braccio Grogu, si toglie il casco e i due si scambiano uno struggente sguardo di addio. Sappiamo tutti che cosa vuol dire: sono ormai padre e figlio. È impossibile non commuoversi. Din sospinge Grogu verso Luke e gli dice “Non avere paura”, ma lo sta dicendo a se stesso. Il mandaloriano del titolo, che a pensarci bene forse mandaloriano non è mai stato, ha trionfato sul male e ha raggiunto una nuova, più matura, consapevolezza: il suo viaggio dell’eroe è compiuto. Che grande serie!
Questa appassionante vicenda si conclude con la seconda stagione e, come è naturale che ci si aspetti, la stagione tre dovrebbe segnare l’inizio di un nuovo ciclo eroico: un nuovo viaggio interiore, un nuovo conflitto, una nuova risoluzione. E le premesse ci sono, disseminate negli episodi precedenti: Bo-Katan desidera riscattarsi e riportare Mandalore agli antichi splendori, ma per farlo dovrà riconquistare la darksaber, una situazione quantomeno ambigua, dato che è proprio Mando a possederla e che la si può conquistare solo in duello; Grogu è affidato a Luke Skywalker, il più grande Jedi vivente, per essere addestrato; Ahsoka, già ai margini del comunque ormai decaduto ordine degli Jedi, è alla ricerca di Thrawn, minaccia del ritorno dell’Impero, per sconfiggerlo definitivamente. A guardar bene, è proprio il personaggio di Din Djarin che, a questo punto, non ha più uno scopo chiaro. Di lui sappiamo solo che desidera ricongiungersi con Grogu, quando il suo addestramento sarà completato e avrà imparato a controllare la Forza. La vicenda di Din Djarin sembra essersi conclusa.
Ed è qui, a nostro avviso, che le due menti dietro alla serie, Jon Favreau e Dave Filoni, combinano un vero e proprio pasticcio. Nella fase finale di The Book of Boba Fett inseriscono a forza due episodi (diciamo uno e mezzo) in cui di fatto tornano sui propri passi. Per prima cosa, riaprono la vicenda di Din Djarin affidandogli una nuova, precisa quest: dopo aver appreso che Din ha commesso la grave offesa di rivelare il proprio volto, l’Armaiolo lo estromette dalla setta; pur possedendo la darksaber egli non è più un mandaloriano; per redimersi, la sua unica possibilità sarà ritrovare le sacre fonti sotterranee di Mandalore e immergervisi, un’impresa immediatamente presentata come impossibile. Qui il personaggio di Din Djarin sembra fare un passo indietro: non essere più un mandaloriano “puro” è inaccettabile, non esiste altra possibilità se non quella di andare alla ricerca della propria redenzione. Benché non sia presentato affatto così, la sensazione è che il personaggio stia cercando rifugio in ciò che più lo rassicura, che stia tornando sui suoi passi. Narrativamente, l’escamotage ha senso perché prepara il nostro eroe per un nuovo viaggio, ovvero per la nuova stagione (lasciamo a un’altra occasione la discussione sulla strana scelta di raccontare questo nuovo inizio qui e non nella prima puntata di The Mandalorian stagione tre). Questo rigurgito settario ha inoltre un’altra importante conseguenza: se bisogna essere mandaloriani a tutti i costi, allora anche Grogu deve diventare mandaloriano. La questione del rischio associato a non saper controllare la Forza - fatto presente nientepopodimeno che da Luke Skywalker in persona - passa in secondo piano. E quindi, come seconda cosa, Favreau e Filoni ribaltano completamente la prospettiva di un Grogu addestrato come Jedi e, nel secondo mezzo episodio di The Book of Boba Fett, mandano Din Djarin a riprendersi il piccolo. Tutti ci emozioniamo, anche perché si rivedono Luke e Ahsoka, li si vede interagire sullo schermo per la prima volta… è una roba da matti!, si sparano frasi a effetto citando Yoda, c’è R2, Din e Grogu tornano insieme, evviva!, e succedono mille piccole grandi cose. Ma di fatto che cosa sta succedendo? Di fatto, Din Djarin ha scelto ottusamente di seguire i propri istinti e, assecondando un bisogno egoistico, si riprende Grogu, un essere misterioso e traumatizzato, incapace di gestire un potere che Din Djarin stesso stenta a comprendere. Din Djarin ha deciso per tutti e due che occorre riabbracciare la (retta) Via, che è l’unica cosa che conosce. Per un verso, si potrebbe sostenere che sceglie di prendersi la piena responsabilità di crescere suo figlio adottivo nel modo che ritiene il migliore possibile, ma per lo spettatore più scaltro, che conosce Star Wars meglio di Mando e sa che il Lato Oscuro è sempre in agguato per coloro che sono sensibili alla Forza, questa scelta è molto, molto rischiosa. A questo punto abbiamo due possibilità: o ci convinciamo che questo sia solo l’inizio di una grande terza stagione, in cui si affronterà l’eterno tema di Star Wars del rapporto tra padre e figlio con una nuova interessante riflessione sul conflitto tra generazioni e valori diversi, sul pericolo del decidere per altri, e in cui il viaggio interiore di Mando proseguirà verso l’emancipazione dai limiti del suo Credo e noi scopriremo di più sul misterioso Grogu e sul suo destino; o ci rassegniamo all’idea che non ci sia proprio un piano preciso, che l’importante era farli tornare insieme così che questo riuscitissimo duo fosse pronto per una nuova stagione di avventure, per la gioia di grandi e piccini. La speranza che, accanto a immagini incredibili e design pazzeschi, accanto a creature fantastiche, scene spiritose, sequenze d’azione mozzafiato, duelli spettacolari, ci sia dietro un grande disegno, ci sia l’ambizione di continuare nel solco del passato e creare una nuova indimenticabile storia di proporzioni epiche e sentimenti di profondità archetipica, ebbene, questa speranza svanisce ben presto dopo l’inizio della terza stagione di The Mandalorian. La sensazione è che ci sia stata una decisa virata verso un pubblico più giovane: smashing action figures together sembra essere tutto o quasi quel che Filoni e Favreau hanno in mente di mettere in scena.
Sognavamo un The Mandalorian 3 in cui il nostro si lancia in un’impresa impossibile pur di dimostrare di essere degno. E nell’affrontare ogni sorta di insidia (creature, enigmi, inquietanti visioni…), scopriamo insieme a lui un Mandalore antico, misterioso, fantastico e mistico, un Mandalore devastato dalla guerra, da rifondare, da far rinascere. Sceglierà di essere il nuovo leader dei mandaloriani? E per diventarlo, basterà essere mandaloriano nel senso appreso durante gli anni della sua formazione o dovrà superare di nuovo i propri limiti per poter riunire sotto di sé tutti i clan? E qual è il mondo migliore dove crescere Grogu? È giusto che Grogu cresca come mandaloriano, o non dovrebbe piuttosto seguire la sua natura di essere sensibile alla Forza? Che genere di uomo deve diventare Mando per essere un grande leader? E per essere un buon padre? Guidare questo popolo è veramente il suo destino quello? Chi sono, veramente, i mandaloriani?
E a complicare le cose, ecco Bo-Katan. Prima alleata ambigua, poi nemica per volere del fato: due destini che s’incrociano e si scontrano inesorabilmente. Bo-Katan del clan Kryze, un passato da aristocratica, fuorilegge, terrorista, estremista, redenta eppure assetata di potere perché in esso vede il riscatto per se stessa, per la sua stirpe, per il popolo di Mandalore tutto: ah, se solo potesse compiere il suo destino e finalmente brandire la darksaber e regnare su Mandalore, allora sì che l’ordine naturale delle cose – l’ordine, in realtà, della sua anima straziata, in pezzi – potrebbe essere ristabilito! Chi dei due saprà riunire tutti i clan e dare nuova vita a Mandalore?
E chissà, forse all’inizio della stagione Din Djarin e Bo-Katan potrebbero imbarcarsi come alleati in questa quest su Mandalore, forse potrebbero vedersela brutta insieme, superando vari ostacoli e imparando a contare l’uno sull’altra, scoprendo come liberare Mandalore dalla sua maledizione e richiamando a sé tutti i mandaloriani che abbiamo conosciuto nelle scorse stagioni. Forse tra i due potrebbe addirittura nascere qualcosa di più… Ma Din Djarin commetterà un qualche errore, e Bo-Katan lo fraintenderà e cederà quindi alle proprie debolezze, tradendo Din Djarin e impadronendosi della spada: lo sfiderà a duello, vincendo con l’inganno, abbagliata dalle proprie illusioni. Ed ecco che un Moff Gideon redivivo impedisce a Bo-Katan, sul punto di pentirsi, di tornare sui propri passi: la inganna, lei si allea con lui, illudendosi di poterlo usare per salire al potere e poi disfarsene, ma Moff Gideon è troppo potente, lo abbiamo visto nel corso della stagione fuggire di prigione, infiltrarsi nella Repubblica, corrompere e tradire, diventare sempre più forte, concentrare nelle sue mani tutte le forze residue di un Impero distrutto eppure ancora assetato di potere assoluto e pieno d’odio verso la Nuova Repubblica. E adesso è troppo tardi per Bo-Katan per tornare indietro. Moff Gideon ha un piano misterioso e terribile: prendere Mandalore, sottomettere i mandaloriani con la darksaber e usarne la tremenda forza bellica e l’indistruttibile beskar, per poi unirli alla forza militare, alle risorse e al terrore dell’Impero, e infine per impadronirsi dell’incommensurabile potere della Forza e, piegandolo al suo perverso volere, fondare un nuovo potentissimo esercito e diventare invincibile. Sullo sfondo, lo spettro di Thrawn fa sembrare la minaccia di Moff Gideon ben poca cosa, mentre Ahsoka continua nella sua ricerca, i Rangers della Nuova Repubblica combattono le forze imperiali, Luke Skywalker tenta di rifondare l’ordine degli Jedi (e Boba Fett… trova il modo a diventare una serie decente). Il tutto culmina in un finale di stagione esplosivo, dove la posta in gioco è altissima: il destino di due eroi legati fatalmente l’uno all’altra, il destino del piccolo Grogu, il destino di Mandalore e dell’intera galassia…
Avrete notato che il punto di arrivo è lo stesso dell’attuale penultimo episodio della terza stagione, ma i presupposti e la risultante tensione sono tutti diversi. Quanto al percorso fatto per giungere fin lì, ahinoi, le cose sono andate in realtà in tutt’altro modo: mandaloriani in spiaggia che si allenano in assetto casual, altro che milizie spartane; un Din Djarin che vaga sullo sfondo, senza meta, gli serve un droide che poi in fondo non gli serve, e quindi getta il figlio in un combattimento con un altro bambino senza un obiettivo preciso, per vedere l’effetto che fa; Grogu con l’armatura soldo di cioccolata, mandaloriano without a cause condannato alla scoliosi; le mitiche sorgenti di Mandalore ritrovate al terzo episodio, dopo un paio di scaramucce, e riabilitazione istantanea; Bo-Katan convertita in 60 secondi, l’occasione più ghiotta per elevarla a grande personaggio tragico gettata via senza pensarci due volte; mandaloriani vs. Jurassic Park, con bambino mandaloriano digerito per due giorni senza conseguenze, rigurgitato senza neanche la bava addosso, e gran finale con tre pollastri trovatelli che si uniscono al clan (che fine avranno fatto poi, perché non se li portano su Mandalore); Greef Karga Magistrato che governa su un pianeta popolato da ben venticinque persone, in rotta con pirati guidati dal leggendario Pizza Margherita, i combattimenti in città coreografati a omaggio dei classici di Bud Spencer e Terence Hill; una gita su Xandar senza Guardiani della Galassia ma con ben tre grandi talenti sprecati a fare cosplay, a metà tra Alice nel Paese delle Meraviglie, Willy Wonka e Chi ha incastrato Roger Rabbit; Christopher Lloyd ha un cartoonesco pulsante rosso che spegne tutti i droidi, ma attenzione, siamo nella stessa galassia dove, qualche anno prima, un uomo molto serio diceva a un altro altrettanto serio: “Non hai ucciso tu Anakin Skywalker! Sono stato io”. Non sarà un po’ troppo?
Le cose sono andate diversamente, sì. Viene naturale pensare agli episodi riempitivi di The Clone Wars. Inoltre, quello che funziona molto bene in una serie animata appare invece goffo e infantile quando viene messo in scena in live action.
A The Mandalorian e ai suoi personaggi gli si vuole bene lo stesso, intendiamoci. Però il sospetto resta: dietro al grande spettacolo, siamo sicuri che le grandi storie dal respiro epico, i grandi eroi del moderno mito stabilito da Star Wars siano ancora lì? O stiamo solo tirando avanti a suon di merchandise e approssimazioni, timbrando il cartellino fintanto che non siamo pronti al grande botto: tutti insieme a fare gli Avengers in una galassia lontana lontana, con Thrawn novello Thanos?
Perché, sia ben chiaro, se le storie che infine condurranno al culmine di questa nuova era di Star Wars non significano niente, neanche Star Wars: Endgame significherà niente. I bambini di oggi meritano di più. Star Wars senza eroi è Star Wars solo a metà.