Da tempo il fandom di Star Wars è diviso più o meno su tutto: ogni nuovo capitolo della saga, si tratti di un film o una serie TV, genera discussioni, dibattiti, litigi. The Acolyte non fa eccezione. Secondo i suoi detrattori è scritta male, ha dialoghi imbarazzanti, è noiosa e non rispetta il canone. Ma sono tutte critiche legittime e oggettive? Ci verrebbe da dire più no che sì, ma preferiamo non impelagarci in questa spinosa questione. In fondo, se non piace, non piace. I gusti non si discutono (anche se – è bene tenerlo a mente – un conto è dire «non mi piace», un altro è dire «è scritta male», ma non divaghiamo). La serie, tuttavia, ha anche i suoi estimatori e noi siamo certamente tra quelli. L’abbiamo detto sin da subito, prima con cautela, poi con sempre maggior entusiasmo: The Acolyte ci piace.
Non è un capolavoro e a tratti lascia un po’ a desiderare, ma secondo noi è molto sottovalutata, forse persino incompresa. Questa serie si pone, e ci pone, una delle domande fondamentali di Star Wars: chi sono i Jedi? Si può rispondere in molti modi a questa domanda, a seconda che si faccia riferimento alla trilogia originale – i Jedi sono guardiani di pace e giustizia; a quella prequel – i Jedi sono dogmatici e radicali; o persino a quella sequel – i Jedi hanno fatto il loro tempo. The Acolyte sta aggiungendo nuovi tasselli a questo complesso mosaico che stiamo faticosamente cercando di comporre da oltre quarant’anni e lo sta facendo mostrandoci le debolezze, le fallacie, le contraddizioni dei Jedi, insomma i loro lati oscuri come ordine religioso, casta di guerrieri, funzionari governativi all’apice del loro potere, ossia lo scorcio finale dell’Alta Repubblica.
The Acolyte ci sta facendo dubitare dei Jedi, esplorando una domanda che appassiona i fan dai tempi della trilogia prequel: i Jedi sono i veri responsabili dell’ascesa del Lato Oscuro, di Palpatine e dell’Impero? È questa la premessa della serie. Alla fine avremo una risposta? Ne avremo sicuramente una, ma potrebbe non essere una risposta semplice. Potrebbe non essere la risposta che vogliamo. È così che Leslye Headland ci sta tenendo sulle spine, facendoci dubitare e imponendoci di riflettere su una galassia che è sì lontana, lontana, ma anche meno rassicurante di quanto abbiamo sempre voluto pensare.
Nel frattempo la serie ha compiuto il giro di boa con il quinto episodio, davvero spettacolare e avvincente (secondo molti il miglior episodio sin qui). La strage di Jedi, compresi Yord e Jecki, due personaggi a cui ci eravamo già affezionati e che nessuno si aspettava morissero così presto, è stata sicuramente scioccante e resterà negli annali di Star Wars. Ma a lasciare il segno è soprattutto Qimir, non tanto per la rivelazione della sua identità (non del tutto inaspettata, per usare un eufemismo), ma per il suo spessore come cattivo, per la lucidità con la quale fa tremare le fondamenta di Star Wars a ogni sua battuta. Sol è l’unico Jedi a sopravvivere, ma filosoficamente e dialetticamente è una disfatta per lui. Attacca Qimir alla spalle, resiste a malapena alla tentazione di ucciderlo quando è disarmato, è incapace di ribattere quando Qimir lo incolpa per la morte di Jecki, perde la fiducia di Osha, viene costretto a confrontarsi con la propria oscurità. Per il Lato Oscuro è una grande vittoria. Per Qimir, che vuole liberarsi del giogo dei Jedi, è un trionfo.
Forse nel prossimo episodio conosceremo finalmente il terribile segreto di Brandok, che è il cuore di questa storia. I Jedi, che credevano di fare la cosa giusta, hanno commesso un terribile crimine. Un crimine che mette in dubbio la moralità dei Jedi e del loro ordine. Un crimine che il Lato Oscuro può e sta di fatto sfruttando. Un crimine di cui i nemici dei Jedi nel Senato potrebbero approfittare. Un crimine tenuto segreto sin qui… Tutto ciò nonostante la serie sia scritta male! C’è ancora molto che non sappiamo (per esempio, che ruolo avrà Ki-Adi-Mundi? Come sono state create le gemelle? Qimir è davvero un Sith?), ma secondo noi Leslye Headland ha fatto un ottimo lavoro sin qui.